Martina Franca

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a città di Martina Franca ha un tessuto civile tra i più interessanti di tutto il Mezzogiorno.

Nel Nord e nel Centro il fiorire delle città e delle repubbliche ha prodotto nei secoli una capacità di autogoverno e un principio di responsabilità civile che hanno fatto maturare un particolare senso civico.
Nel Sud, governato prevalentemente da sovrani lontani e da corti fameliche, queste qualità hanno fatto fatica ad emergere, non certamente per colpe dei cittadini ma perché il contesto politico produceva abusi e, conseguentemente, avversione nei confronti dei pubblici poteri.
La Puglia, specie quella centro-meridionale, fa eccezione e in questa Puglia spicca Martina Franca, una media città, circa 50.000 abitanti, con una grande tradizione civile testimoniata dalle numerose associazioni laiche e religiose tutte attive e ciascuna con una spiccata dignitosa identità.

Ho trovato straordinaria nel maggio 2016 la partecipazione della città alla lettura popolare integrale della Divina Commedia.
Settecento lettori, bambini delle elementari e commercianti, professionisti, il sacerdote e il magistrato, i detenuti e gli insegnanti, i rifugiati politici che hanno letto in arabo e le associazioni storiche della città, le mamme con le figlie, le scuole con uno straordinario impegno di docenti e studenti, alcuni dei quali durante la lettura del Paradiso disegnavano la loro idea della Divina Commedia ed altri che recitavano a memoria.
Più di tremila persone hanno seguito la lettura nella Chiesa del Carmine, nella Basilica di San Martino e nel Chiostro delle Agostiniane.
Tutto questo accade solo se una città ha grande e forte tradizione civile e se esiste un rapporto vivo tra la società civile e la Chiesa.

Non sembri fuor d’opera connettere la presentazione di questo catalogo ai caratteri della città.
Martina conobbe il suo periodo più florido nel Settecento e al Settecento risalgono i portali più belli, le costruzioni più ricche.
A quell’epoca risalgono  la Collegiata di San Martino, gli argenti e la gran parte delle opere d’arte e di grande artigianato esposti nel Museo della Basilica.

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Non conosciamo il nome del committente di ogni singola opera; ma nella grande maggioranza dei casi si tratta di doni fatti alla Chiesa da cittadini che in questo modo comunicavano non solo la propria fede ma anche un rapporto tra città e Chiesa che, pur tra varie vicissitudini, si caratterizzava e si caratterizza tutt’ora come costitutivo della identità civile e religiosa della città.

Ora la Basilica, esponendo in una sede  accessibile a tutti ciò che quella identità le aveva consegnato, non si limita a mostrare al pubblico capolavori, ma rinsalda il vincolo tra città e Chiesa in un circuito che connette arte, fede, tradizione civile, predisposizione al bello.

Il Museo raccoglie in distinte sezioni argenti, paramenti sacri, libri e pergamene, dipinti.

L’occhio è attratto innanzitutto dagli argenti, vere e proprie sculture della grande scuola napoletana, intreccio tra arte, grande artigianato e fede.

Oggetti di questa delicatezza e di questa incisività non possono essere realizzati solo con pura tecnica; occorre una visione del mondo e della vita, un sentimento verso il trascendente.

L’invito che mi permetto di avanzare è guardare ciascuno di questi oggetti non solo nella loro unitarietà, ma anche in tutti i particolari, come per molti di essi suggerisce lo stesso catalogo.

Le volute del mantello di San Martino nella cartagloria a pagina 13 fanno andare la mente al mantello di papa Urbano VIII scolpito da Bernini ed è impossibile, quando si guardano alcuni di questi calici, non pensare alle finezze di  Benvenuto Cellini.

Questo richiamo ai grandi maestri di quel secolo dimostra ancora una volta che la città di Martina non era periferica ed anzi si connetteva alle grandi correnti nazionali attraverso oggetti di gusto finissimo, commissionati da esponenti della città ai migliori artigiani e artisti napoletani.

Uno sguardo diverso meritano i preziosi paramenti sacri.
Pianete ricamate che sembrano prati di primavera, veli trapuntati in oro e argento, piviali monocromi, in cremisi, grigio e verde, dalmatiche che riprendono i motivi floreali delle pianete.
Il tecnico guarderà alla finezza dei ricami, alla preziosità degli inserti, alla fioritura dei particolari.
Tutti gli altri saranno attratti dalla visione complessiva di ciascun paramento, dalla preziosità e dallo spirito d’arte che lo pervadono.
Chi avesse un po’ di tempo potrebbe istituire una relazione tra la fioritura di alcune di queste pianete e alcuni quadri di Cy Twombly, il grande artista che aveva scelto l’Italia come sua seconda patria.
Forse i modelli di rappresentazione del bello possono attraversare i secoli, immutati nei propri caratteri fondamentali.

I corali vengono a noi  da tempi nei quali un libro era davvero un tesoro non solo per la sapienza che conteneva, ma per la legatura, i capilettera, la preziosità di miniature che traducevano in piccole immagini coloratissime i passi fondamentali del libro.

Le icone e i dipinti testimoniano dello sviluppo della città nel Settecento e confermano la straordinaria vitalità di Martina Franca in quel secolo, che vide anche una fioritura di portali, balconi, balaustre, cortili che ancora oggi colpiscono per la loro perfetta armonia.

Infine, argenti, paramenti, corali, pergamene, dipinti di grandi dimensioni restituiti alla cultura della città attraverso il museo possono essere guardati come segno di una Chiesa trionfante che innerva la società con la magnificenza.

D’altra parte i pontificati di Innocenzo X (1644-1655) e di Alessandro VII (1655-1667), coevi a molte di queste opere, patrocinarono proprio la sontuosità dell’arte barocca, come strumento di propagazione della fede.
Ma c’è forse un richiamo più profondo; questi oggetti così preziosi possono costituire piuttosto il segno di un dono, di un riconoscimento e di una forma di sacra gratitudine verso il mistero della fede.

Franco Semeraro
Parroco della Basilica

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